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venerdì 5 ottobre 2007

L’appuntamento con BIODOMENICA 7 ottobre organizzata da Aiab, coldiretti e legambiente

MATERA PATRIMONIO DELL’UNESCO DICE NO AGLI OGM

La città dei sassi chiede maggiore tutela del territorio e delle produzioni tipiche

Matera- Grandi apprezzamenti vengono dal mondo del biologico per il consigliere Corrado Arfò (An) che ha presentato al presidente del Consiglio comunale di Matera un Ordine del giorno, per impegnare l’amministrazione “alla tutela del territorio e delle produzioni tipiche dai possibili effetti negativi connessi all’impiego ed alla coltivazione di organismi geneticamente modificati, dichiarando il territorio comunale libero da Ogm, nel rispetto del principio di precauzione e nelle more della messa a punto di idonei protocolli di sicurezza. Matera, il luogo privilegiato di un vasto processo di “ricostruzione ambientale”, fondato su regole di tutela e di sviluppo sostenibile: operazione che dopo il riconoscimento UNESCO (1993), ha ottenuto dall’Unione Europea, nel 1995, il Premio Europeo di Pianificazione Urbana e Regionale. Oggi Matera antica e l’Altipiano Murgico frontistante, costituiscono pertanto un “unicum” urbanistico-naturalistico, ancora pressoché integro, di straordinario interesse e qualità, ricco di segni contrastanti, a volte primitivi, magici quasi, a volte culturalmente assai elaborati, ma sempre storicamente identificati: uno spaccato, assai originale, della storia della città europea, che è affascinante ricercare, scoprire, decifrare, nell’imprevedibile impasto, nel raffinato dialogo tra rocce ed architettura, canyon e campanili, in uno scenario urbano di incomparabile bellezza e qualità, di assoluto valore nel quadro delle città europee e del bacino del Mediterraneo. Come la laguna di Venezia, i trulli di Alberobello, il Machu Picchu, Notre Dame, la Statua della Libertà o la grande barriera corallina o appunto i sassi di Matera anche la dieta mediterranea è entrata nella lista del patrimonio dell'umanità all'Unesco, per il valore storico che ha assunto questo modello alimentare negli stili di vita e per i benefici per la salute dimostrati scientificamente. “Gli organismi geneticamente modificati sono "una forzatura sulla libertà degli agricoltori e consumatori di mangiare quello che vogliono e soprattutto mediterraneo" . È quanto ha affermato il Presidente dell’Aiab Basilicata, Terenzio Bove. “La biodiversità e l’immenso patrimonio di risorse enogastronomiche rappresentano un valore straordinario per l'Italia che è il Paese simbolo di questo tipo di cucina e dove è più radicata la cultura alimentare fondata sui principi della dieta mediterranea con primati raggiunti nelle principali produzioni a base di frutta, verdura e pasta. Senza considerare il posto d'onore nella Ue per vino ed olii di oliva. "La dieta mediterranea -prosegue Bove - è infatti basata sul consumo di alimenti ricchi di fibre (cereali, legumi, frutta e verdura), di olio d'oliva e di pesce ed è unanimemente riconosciuta come dieta sana e nutriente, utile per contrastare l'invecchiamento cellulare e le malattie cardiovascolari". Pane, pasta, frutta, verdura, olio extravergine e il tradizionale bicchiere di vino (dal 20 prossimo anche DOC) rappresentano lo straordinario patrimonio di un territorio tutto da scoprire e da gustare. In piazza, dunque ( a Matera in Piazza V. Veneto e a Potenza in Piazza M. Pagano) domenica 7 ottobre dalle ore 10 alle ore 13.00 anticipato al sabato alle ore 17.00 a Villa d’Agri per incontrare i consumatori e proporre un modo diretto di apprezzare i prodotti sani e i sapori del territorio, accorciare le distanze tra produzione e consumo, comprendere il valore delle produzioni oltre il prodotto. Insomma una occasione da non perdere, per toccare con mano la realtà delle aziende tipiche e biologiche lucane e i prodotti che rispettano la natura, tutelano la biodiversità, fanno bene alla salute, costano poco e soprattutto aiutano il territorio a vivere.

Le primarie atipiche degli ogm: sfidano quelle del Pd ma non sciolgono i dubbi

Realizzata da  Emanuele Vezzaro
Ogm sì, ogm no, il made in Italy si interroga.
Dal 15 settembre al 15 novembre le strade d’Italia saranno occupate dai banchetti per la raccolta di firme. Anzi, per il voto, con tanto di scheda referendaria. E la domanda è: “Vuoi che l’agroalimentare, il cibo e la sua genuinità, siano il cuore dello sviluppo, fatto di persone e territori, salute e qualità, sostenibile e innovativo, fondato sulla biodiversità, libero da Ogm?”
Una consultazione del tutto inedita (la Gran Bretagna organizzò un grande dibattito sugli Ogm nel 2001, ma l’iniziativa in quel caso fu governativa). E coraggiosa: i promotori sperano di portare al voto almeno tre milioni di italiani, nonostante la concomitanza delle primarie del Pd. Ma qui i promotori non sono veri e propri politici (benché il leader, Mario Capanna, abbia un passato da contestatore, da europarlamentare e un presente da presidente della Fondazione dei Diritti Genetici) ma una coalizione di 29 organizzazioni (dalla Coldiretti alle Acli, dalla Lega Coop al WWF, con quella strana comunione di intenti che poche volte ha raggruppato la destra e la sinistra italiane) che operano negli ambiti più disparati: dei consumatori, degli agricoltori, della scienza, dell’artigianato e della piccola e media impresa, della cultura, delle autonomie locali e ambientaliste. La consultazione nazionale durerà due mesi, fino al 15 novembre, e i promotori sperano di arrivare a tre milioni di firme.
Referendum o primarie, il problema di sempre è la chiarezza. Ci si capisce ancor meno che con la legge sulla procreazione assistita. Perché gli argomenti (e la posta) in gioco sono seri e vasti e perché tra favorevoli e contrari ai prodotti modificati geneticamente, spesso, la partita si incaglia alle accuse reciproche. Il partito del sì accusa il partito del no di essere a servizio della lobby che vuole fermare la scienza e questi ultimi rispondono che non vogliono limitare la ricerca, ma mettere dei vincoli fino a che non sia chiaro se i prodotti manipolati facciano male o meno. Va detto anche che in Italia la produzione agricola è sempre più orientata al biologico. E con 153 prodotti tra Dop (denominazione d’origine protetta) e Igp (indicazione geografica protetta) siamo leader in Europa per prodotti certificati e leader indiscussi del biologico (un terzo delle imprese biologiche europee sono italiane). E allora il dibatto da noi riguarda un altro capitolo.

Per Federica Ferrario, responsabile della campagna Ogm di Greenpeace, “in Italia la produzione animale è rimasto l’unico vero ricettacolo degli ogm, perché qui i consumatori ne perdono le tracce, dato che su prodotti quali latte, carne, uova e formaggio, le etichette non specificano se sono stati usati Ogm nell’alimentazione dell’animale di provenienza”.
Domenica 7 ottobre sarà l’occasione per vederci più chiaro: in oltre 50 piazze d’Italia sarà la Biodomenica di Legambiente, Coldiretti e Aiab.
Altre info sul sito della coalizione. E per le domande più frequenti sull’argomento, ecco le risposte di Greenpeace. Qui, invece, la campagna e l’ informazione pro Ogm.

Guarda la GALLERY della coalizione Ogm free

Fonte panorama

giovedì 4 ottobre 2007

In piazza per il Biologico e contro gli Ogm

A otto anni dalla prima edizione, più di cinquanta piazze italiane saranno protagoniste della giornata dedicata al biologico. La più importante manifestazione nazionale di promozione dell’agricoltura biologica di qualità, organizzata da AIAB, Coldiretti e Legambiente, ogni anno porta nelle piazze decine di produttori a parlare con la gente di agricoltura biologica e sana alimentazione. Ma quest’anno la Biodomenica accende i riflettori sulla campagna nazionale “Liberi da Ogm” per dichiarare gli OGM incompatibili ed inaccettabili per il modello agroalimentare italiano.Gli organismi geneticamente modificati sono "una forzatura sulla libertà degli agricoltori e consumatori di mangiare quello che vogliono". Gli italiani sono compatti nel dire no agli alimenti Frankenstein e dagli agricoltori ai cittadini, dagli industriali alle catene di distribuzione, tutti chiedono etichette per cibi "ogm free". E' quanto ha riferito il Presidente dell’Aiab Basilicata, Terenzio Bove, intervenendo durante un incontro tenutosi a Villa d’Agri per discutere con gli agricoltori sulla questione più calda di questi giorni, che ha diviso opinione pubblica, politici e scienziati. “Si alle bioteconologie e alle sperimentazioni di tecniche all’avanguardia dove sono davvero utili tali scelte, - ha proseguito - ma si devono lasciare "stare” gli agricoltori italiani che producono cose di grande qualità e che quindi non hanno bisogno degli Ogm". Il tema della sicurezza alimentare è prioritario per una corretta educazione alla salute e al cibo, e riguarda tutti i cittadini. Il biologico sicuramente è in grado di garantire la qualità. Ciò emerge anche dal dossier Fibl presentato recentemente da Aiab al Sana in versione italiana e che è stato pubblicato in collaborazione con la Camera di Commercio di Roma. Prendendo in considerazione gli studi condotti nel corso di diversi anni e in diverse aree del mondo, il dossier arriva alla conclusione che il biologico è meglio del convenzionale sotto diversi aspetti. I prodotti biologici – sottolinea Bove - risultano avere livelli di micronutrienti e di vitamina C più elevati, tendono ad avere una qualità sensoriale maggiore, hanno migliori performance di conservazione, una trasformazione più attenta e una qualità di processo più sostenibile”.In piazza ( a matera in Piazza V. Veneto e a Potenza in Piazza M. Pagano) domenica 7 ottobre dalle ore 10 alle ore 13.00 per incontrare i consumatori e proporre un modo diretto di apprezzare i prodotti sani e i sapori del territorio, accorciare le distanze tra produzione e consumo, comprendere il valore delle produzioni oltre il prodotto. Insomma una occasione da non perdere, per toccare con mano la realtà delle aziende tipiche e biologiche lucane e i prodotti che rispettano la natura, tutelano la biodiversità, fanno bene alla salute, costano poco e soprattutto aiutano il territorio a vivere.


domenica 30 settembre 2007

BIODIVERSITA' I benefici delle piante

di John Tuxill
ricercatore del Worldwatch Institute

NONOSTANTE SPESSO LO SI DIA PER SCONTATO, il fatto di conoscere e di poter accedere alla biodiversità botanica – quel vasto e multiforme patrimonio che ci è stato tramandato dalla natura e da generazioni di contadini e foraggieri locali – rappresenta una delle più grandi fortune dell'umanità. Per nutrire le famiglie, per curare i malati, per costruire e arredare le case, la maggior parte dei popoli di tutto il mondo dipende da risorse che direttamente o indirettamente, provengono dalle piante. Fino a oggi i botanici hanno dato un nome e descritto più di 275 mila specie vegetali maggiori, e si stima che altre 50 mila siano in attesa di essere ufficialmente scoperte. La più alta concentrazione di varietà di piante si trova nelle zone tropicali e subtropicali. Nel caso di moltissime specie, l'esperto che le conosce meglio non è lo scienziato di professione, bensì la popolazione locale che vive dove cresce la pianta e sa come usarla. Per esempio una pianta su tre è commestibile e nella maggior parte dei casi è consumata localmente, come avviene per i 133 tipi di erbe selvatiche che da sempre crescono in Toscana, nella zona della Garfagnana. In tutto il mondo, poi, migliaia di specie di piante sono impiegate nei sistemi locali di medicina tradizionale, dove servono per curare ogni genere di malanno. In Cina, dove l'uso delle piante in medicina risale a quattromila anni fa, i guaritori utilizzano più di 5 mila piante. In Asia meridionale, le piante che hanno un impiego ben preciso in medicina sono più di 1.800.

L’importanza della varietà

Il numero totale di specie vegetali, tuttavia, non riesce da solo a dare un'idea della portata delle varietà, in quanto in alcuni casi è la diversità genetica e dei fenotipi all'interno delle specie che è più importante e significativa. I guaritori tradizionali sanno bene che particolari varietà o popolazioni di una pianta medicinale spesso hanno un effetto farmacologico superiore. E se è senz'altro vero che la maggior parte delle calorie consumate dall'umanità proviene da poche specie di piante coltivate – grano, riso, mais, sorgo, patate e canna da zucchero sono le principali – esistono però centinaia di migliaia di varietà di queste coltivazioni, ognuna con diverse proprietà morfologiche, agronomiche e culinarie. Si ritiene, per esempio, che in India dall'inizio dell'ultimo secolo, siano state coltivate più di 30 mila varietà di riso. Queste varietà nelle varietà sono il risultato di generazioni di selezioni e lavoro da parte di contadini locali e indigeni di ogni parte del mondo.

È stato nel secolo scorso, tuttavia, che come mai in passato, abbiamo tratto i maggiori vantaggi dalla biodiversità delle piante. Quando la genetica, scienza emergente, ha contribuito ad aprire la strada a una straordinaria crescita in termini di produttività agricola, i selezionatori hanno radunato diverse varietà di coltivazioni di tutto il mondo, da cui hanno attinto per sviluppare un mais ibrido, un riso ad alto rendimento, un tipo di grano resistente alle malattie e altre rigogliose piante dell'agricoltura moderna. Allo stesso modo, quando nel secolo scorso si assistette a un rapido progresso delle tecniche impiegate in medicina, molti dei nuovi processi e trattamenti diventarono possibili grazie a farmaci sviluppati da composti che erano già stati individuati nelle piante. Oggi, dei 150 farmaci di più largo impiego, oltre la metà trae origine dalle piante. La tubocurarina, per esempio, impiegata per rilassare i muscoli dello scheletro nella maggior parte delle procedure chirurgiche, in origine era ottenuta da una pianta sudamericana. Naturalmente molte di queste piante utili in medicina non sono state scoperte dagli scienziati occidentali, ma dai curatori indigeni. Dalla pianta da cui si ottiene la tubocurarina, per esempio, si estrae anche il curaro, un veleno che i cacciatori aborigeni dell'Amazzonia spesso applicavano sulle frecce e sui dardi delle cerbottane per paralizzare le loro prede

Eppure, nonostante il lungo elenco di prodotti e vantaggi che l'uomo ha ottenuto dalle piante, molti potrebbero sostenere che ci aspetta un futuro ben diverso. Quasi ogni giorno scopriamo progressi tecnologici che sembrano promettere un'indipendenza senza precedenti dai limiti della natura. I selezionatori oggi possono costruire dal punto di vista genetico nuove varietà di piante trasferendo in queste ultime dei geni di organismi a loro del tutto estranei, come nel caso del pomodoro dotato del gene di un pesce oceanico che lo rende resistente al freddo. Analogamente, nella caccia di nuove medicine, i laboratori delle ditte farmaceutiche oggi possono creare e selezionare rapidamente composti chimici sintetici usando tecniche di chimica combinatoria e computer di grande potenza.

Tuttavia, sotto questa facciata di modernità, il nostro benessere continua a dipendere fondamentalmente dalle fortune della biodiversità vegetale. I selezionatori ogni anno tornano alle varietà delle colture tradizionali e alle specie affini selvatiche per reperire delle peculiarità essenziali che sono introvabili nelle linee di riproduzione più avanzate. Secondo l'economista Timothy Swanson, il 15 per cento del plasma germinale impiegato ogni anno per originare colture come il grano e il riso, è costituito dalle varietà tradizionali e da quelle selvatiche. Similmente continuano a essere scoperti potenziali nuovi benefici curativi dei composti vegetali – come nel caso della recente scoperta di una sostanza nelle radici di una pianta rara originaria degli Stati Uniti, che potenzia gli effetti dei composti chimici impiegati per combattere le cellule cancerogene. Un'altra indicazione della nostra costante dipendenza dalle piante è rappresentata dall'espansione del mercato europeo e nord americano delle medicine a base di erbe, che oggi interessa migliaia di specie vegetali e miliardi di dollari in vendite ogni anno.

Una risorsa indispensabile

Per gli abitanti dei paesi in via di sviluppo che non hanno praticamente accesso ai frutti dell'ingegneria genetica o della moderna industria farmaceutica, la varietà delle piante continua a essere una risorsa indispensabile, come nel passato. La maggior parte degli agricoltori su piccola scala continua a coltivare diversi tipi di colture e varietà, usando principalmente le sementi da loro selezionate e conservate. Questa "agrodiversità" consente ai contadini di soddisfare un ampio ventaglio di necessità familiari di sussistenza e inoltre riduce il rischio di una perdita completa del raccolto a causa di catastrofi naturali o in seguito allo scoppio di qualche pestilenza. La medicina tradizionale – che per l'85 per cento prevede preparazioni a base di piante – rimane la principale forma di assistenza sanitaria per circa 3,5 miliardi e mezzo di persone nel mondo. In alcune zone rurali dell'Africa meridionale, per esempio, c'è un guaritore tradizionale ogni 500 persone e un medico ogni 17.500 persone. Oltre a cibo e medicine, le piante locali forniscono una serie di prodotti che le popolazioni rurali continuano a raccogliere e coltivare per soddisfare i propri bisogni domestici di combustibile, riparo e reddito.

L'affidamento di molti popoli alla diversità vegetale, particolarmente nel mondo in via di sviluppo, rende sempre più problematica la percentuale di diminuzione delle risorse botaniche. La World Conservation Union (l'unione mondiale per la conservazione) stima che praticamente una su ogni otto specie di piante nel mondo è potenzialmente a rischio di estinzione. Più del 90 per cento di queste specie "a rischio" è endemico di un solo paese, cioè si può trovare soltanto in quel paese e in nessun altro luogo nel mondo. Tra le piante a rischio vi sono molte specie con un chiaro valore attuale o futuro per l'umanità. Da una recente indagine sulle piante in pericolo di estinzione condotta dal Center for Plant Conservation (il centro per la conservazione delle piante) è emerso che per due terzi sono piante affini a specie coltivate. Se queste piante si estingueranno, scomparirà anche tutta una serie di potenziali vantaggi genetici per l'agricoltura e l'orticoltura del mondo

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la perdita di un patrimonio

Forse l'aspetto più allarmante di tutti è che la diminuzione dei tipi di piante sembra corrispondere a una ancor più rapida perdita del patrimonio culturale indigeno relativo al modo di usare e gestire le risorse vegetali. La conoscenza delle piante nelle società indigene è spesso strettamente correlata a un particolare contesto socioculturale, quali i riferimenti cosmologici delle tradizionali cerimonie curative o l'importanza per la sussistenza dei nuclei familiari dell'agricoltura locale su piccola scala. Se le regole culturali per l'impiego delle piante cambiano o si sgretolano, schiacciate dalle pressioni sociali, economiche o ecologiche, le conoscenze indigene sulle piante possono diminuire, anche se in realtà le risorse vegetali continuano a esistere. Lo scienziato John Leinhard ha paragonato la situazione attuale a quella dell'Europa dello scorso millennio, quando le tribù nomadi occuparono zone che precedentemente avevano fatto parte dell'impero romano. Vivevano tra strade abbandonate, acquedotti e palazzi, per lo più non conoscendo quale fossero i potenziali vantaggi offerti da queste opere, proprio come le popolazioni acculturate dell'Amazzonia e dell'Oceania vivono tra piante che non utilizzano o riconoscono più.

È probabile che la perdita delle piante e della relativa cultura indigena comporti un notevole costo in termini di opportunità per tutti noi. Soltanto il 5-10 per cento delle specie vegetali di tutto il mondo sono state esaminate dai biochimici per scoprire quali sostanze chimiche contengano. In base alle percentuali di scoperta del passato, i ricercatori Michael Balick e Robert Mendelsohn stimano che nelle piante della foresta pluviale tropicale vi siano più di 300 composti utili per la medicina che aspettano di essere individuati, sempre che non scompaiano prima. Analogamente, il potenziale genetico delle varietà delle colture mondiali non è ancora stato del tutto esplorato. Delle decine di migliaia di varietà di piante coltivabili immagazzinate nelle banche del seme internazionali, soltanto una piccola parte è stata impiegata nei programmi di selezione delle colture.

Anche così questi costi in opportunità probabilmente non si ripercuoteranno in tempi brevi su quanti di noi in Europa, America del nord e Giappone possono usufruire di un'assistenza medica di alto livello e di un'abbondante produzione agricola, sostenuta da programmi di coltivazione estensiva. Ma per milioni di persone nei paesi in via di sviluppo che dipendono più direttamente dai vantaggi delle varietà delle piante e per i quali è difficile riuscire ad accedere a prodotti e servizi sostitutivi, la diminuzione di risorse vegetali troppo spesso significa anche un peggioramento della qualità della vita. In Messico, per esempio, lo sfruttamento eccessivo di piante medicinali ha fatto sì che alcune specie altamente pregiate, come la valeriana, non siano più immediatamente disponibili e i commercianti di piante oggi le sostituiscono con specie simili, ma inferiori sotto l'aspetto farmacologico. La perdita delle conoscenze indigene, d'altra parte, può gettare le generazioni più giovani delle popolazioni rurali in un limbo deprimente: spesso non hanno un'educazione o una formazione ufficiale tale da consentire loro di trarre pienamente vantaggio dall'economia moderna che è ormai alle loro porte, ma non hanno neppure acquisito quella profonda conoscenza etno-ecologica della flora e della fauna locali che era alla base delle usanze dei loro genitori o nonni.

Qualche modesta proposta

Tra alcune delle più importanti misure che i governi hanno adottato per tutelare la varietà delle piante vi sono la creazione di parchi nazionali e di riserve naturali, nonché la riduzione del commercio di prodotti vegetali eccessivamente sfruttati. Sicuramente si tratta di azioni lodevoli, sebbene esistano iniziative meno eclatanti, ma ugualmente essenziali, che possono essere adottate per riaccendere l'apprezzamento nei confronti del valore della varietà delle piante e riportare la saggia cura delle risorse arboree nella vita quotidiana della gente. Per alcuni di noi ciò può significare riscoprire l'usanza stagionale della raccolta di messi o di piante selvatiche locali, o forse imparare qualcosa di più sulle erbe medicinali tradizionali. Per chi, invece, dipende ancora dalle risorse vegetali, può significare ricevere sostegno da organizzazioni e agenzie per rendere il loro impiego più sostenibile. Potrebbe significare programmi di educazione ambientale nelle scuole dove gli anziani e i giovani della comunità si potrebbero riunire per condividere le conoscenze sulle piante e le tradizioni culturali a esse legate. Queste possono essere iniziative piccole, tuttavia costituiscono alcune tra le più valide possibilità che abbiamo per assicurare che i vantaggi legati alla varietà delle piante continuino a essere alla portata di quanti vi fanno affidamento.