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giovedì 27 dicembre 2007

Pasta e fagioli: il piatto nazionale

Quale è il piatto più "nazionale" d’Italia? Cioè quello presente veramente in tutte le regioni, dalle Alpi al Mediterraneo? Facile, è la pasta e fagioli. Certo, i tipi di fagioli usati sono diversi, come pure i tipi di pasta ed i condimenti utilizzati. Però un piatto di pasta e fagioli lo troverete ovunque. Alla base c'è un alimento straordinario: il fagiolo.

La storia della pasta e fagioli inizia oltre duemila anni fa: il fagiolo e il grano duro, amanti per contrasto sia per il contenuto dei nutrienti sia per forma che per colore si dettero appuntamento in Italia, alcuni dicono a Roma altri ipotizzano Napoli, per consumare una notte di passione. Il letto di nozze avrebbe dovuto essere appunto una pasta e fagioli. Il grano duro fu il primo ad arrivare sul luogo dell’appuntamento: arrivò intorno al primo secolo a.C..

Il fagiolo invece non fu puntuale: viveva in America e fu costretto ad aspettare Cristoforo Colombo che finalmente arrivò esattamente nel 1492. Il fagiolo, grazie alle scoperte geografiche di quell’epoca ed alle imprese dei navigatori spagnoli e portoghesi, riuscì ad imbarcarsi per il vecchio continente solo intorno al 1530 insieme ad altre colture come i pomodori e i peperoni. Nel XVI secolo, infatti, giunsero in Europa. Nel frattempo il grano duro si consumava in un’estenuante attesa cercando invano di abbellire la mensa degli uomini di potere.


Il Lucano
Orazio, Poeta latino di Venosa, nato nel 65 a.C., nella VI Satira racconta che amava tornare al borgo natio per mangiare la zuppa “lucana”, ceci e porri. Era un piatto semplice, molto amato dal poeta, forse non troppo dissimile dalla nostra pasta e ceci.

Secondo gli studiosi di gastronomia è questo il primo riferimento scritto alla pasta, la cui invenzione pare possa essere attribuita agli Italiani, dal momento che anche atti notori del 1244 e 1279 citano questo prodotto e che Marco Polo tornò dalla Cina solo nel 1292, cioè ampiamente dopo queste date. Alla base della preparazione della pasta è la straordinaria qualità del grano duro che in Italia aveva trovato condizioni ideali e che è stato coltivato da sempre con ottimi risultati. Per farla breve la pasta dovette attendere circa 1500 anni, anzi esattamente 1532 anni fino a quando sbarcò il fagiolo. Questa nuova specie si fece subito notare e catturò le simpatie del Clero. Il fagiolo americano deve il suo successo ad un sacerdote e letterato: Pietro Valeriano Bolzanio, un bellunese che nel borgo natio di Castion seminò e seguì scrupolosamente le sementi che aveva portato da Roma. I fagioli gli sono stati consegnati personalmente da Papa Clemente VII con il preciso intento di farli fruttificare in nuove regioni. In breve tempo, una folta vegetazione di foglie seguita da una insolita fioritura di gemme che rapidamente si trasformarono in baccelli pieni di legumi, svettò dalle finestre della canonica: era il Phaseolus vulgaris, una nuova specie di pianta esotica portata dal Nuovo mondo che l’imperatore Carlo V aveva fatto dono al Papa. Pietro Valeriano intuì, quasi subito, le grandi possibilità di espansione della nuova pianta che riuscì ad acclimatarsi, senza difficoltà, nella terra e negli orti, nelle vallate e sulle colline. Il fagiolo nel giro di pochi anni si diffuse nelle aree a clima temperato-caldo ampliando notevolmente l’areale di coltivazione:


I fagioli americani si imposero molto rapidamente soppiantando, quasi dappertutto, i fagioli antichi e medievali anche nelle denominazioni popolari: fasoulia, per i greci, fasulè per gli albanesi, fasola per i polacchi, fayot e flageolet per i francesi, ecc.
. Da allora si è diffuso in tutte le regioni diventando un componente fondamentale nella dieta delle popolazioni italiane e non solo. Massima espressione si registrò in alcune zone di produzione tra tutte Lamon, Sarconi e Sorana[1].

Ormai universalmente conosciuti in gran parte dell’Europa, si aprì un periodo particolarmente fortunato per il fagiolo che trovò utilizzazione in tutti i ricettari più autorevoli dell’epoca, al punto che Caterina de’ Medici, promessa sposa al Delfino francese, Enrico II di Francia, oltre a portare uno strumento nuovo: la forchetta e molti cuochi professionisti, tra i suoi gioielli erano compresi alcuni sacchi di fagioli, dono a loro volta del fratello Alessandro de’ Medici, che serviranno, anni dopo, a confezionare uno dei mitici piatti nazionali francesi: il cassoulet della Linguadoca (umido di oca, anatra, maiale o castrato con fagioli bianchi).


Oggi i fagioli tipici di diverse zone italiane rappresentano non solo un patrimonio enogastronomico ma anche culturale condiviso nella memoria collettiva popolare.


Se proprio è necessario definire in poche parole il ruolo dei fagioli nella nostra vita, ci sembra molto efficace quanto scrisse Umberto Eco, a proposito dell’invenzione chiave del millennio, in un famoso articolo pubblicato sul New York Times, dal titolo Questo nostro mondo salvato dai fagioli: “Se noi Europei figli di quei nostri antenati ma anche quegli americani, figli dei Padri pellegrini o dei conquistadores spagnoli, siamo ancora qui, questo è dovuto ai fagioli……senza i fagioli la popolazione europea non sarebbe raddoppiata in pochi secoli. Io non conosco la storia dei fagioli in altri continenti, ma certamente, senza i fagioli europei, anche la storia di quei continenti sarebbe stata diversa, così come la storia commerciale dell’Europa sarebbe stata diversa senza la seta cinese e le spezie dell’India”.
(Tratto dal libro: PASTA E fagioli: Dalla buona Terra alla buona tavola il piatto più nazionale d’Italia ED. OLTRE EBOLI di Terenzio Bove)



[1] Rispettivamente in Veneto, Basilicata e Toscana

I FAGIOLI: DA CARNE DEI POVERI AD ALIMENTO UNIVERSALE

La modestia dei fagioli - “Mangia fagioli” - il disprezzo classista che frequentemente, in epoche non remote, veniva riservato ai forzati consumatori di questo umile e generoso legume non ha finalmente più nessuna ragione di sopravvivere. Anzi! E in Basilicata lo abbiamo scoperto per primi. È ormai noto a molti che la presenza dei legumi, insieme al grano, ha praticamente impedito che nelle regioni meridionali imperversasse la Pellagra, malattia gravissima, spesso mortale che dalla seconda metà dell’ottocento fino agli anni quaranta del novecento, ha sconvolto le campagne del Veneto e della Pianura Padana. A Sarconi, per citare un esempio non casuale, la classe dei braccianti, la più misera, traeva sostentamento dai piccoli appezzamenti di terreno tutti seminati a fagioli. La consapevolezza che i legumi, e soprattutto i fagioli, costituivano la sola via di salvezza dalla fame era infatti così diffusa da far sì che, nella zona, le coltivazioni di tali prodotti fossero le maggiormente rappresentate, come ci confermano i dati contenuti nel catasto conciario fin dal 1746. In altre parole, i contadini pur non essendo a conoscenza della composizione chimica dei fagioli, avevano intuito le loro grandi capacità energetiche. Non potendo, per le condizioni misere in cui versavano, nutrirsi di carne, si sfamavano con cereali e legumi cioè con la classica pasta e fagioli: il piatto simbolo dell’alimentazione contadina. In Basilicata, la coltivazione dei legumi, e dei fagioli soprattutto, viene registrata già alla fine del XVI secolo come risulta dai registri amministrativi degli Ordini Religiosi Conventuali dell’epoca. Si tratta, in questo caso dei fagioli americani, arrivati in Italia dopo la scoperta di Cristoforo Colombo del Nuovo Continente. Fino ad allora le specie diffuse, conosciute già dagli antichi romani, erano fagioli dall’occhio, come ci testimonia Apicio nel De re coquinaria. (tratto dal libro: i fagioli di Sarconi da carne dei poveri ad alimento universale di T. Bove, A. Sanchirico, D. Serra 2003).

Il territorio

La zona di produzione dei Fagioli di Sarconi Igp comprende 11 comuni dell'Alta Valle dell'Agri in Basilicata: Sarconi, Grumento, Moliterno, Marsiconuovo, Marsicovetere, Montemurro, Paterno, San Martino d'Agri, Viggiano, Tramutola e Spinoso. I fertili terreni, che si estendono al disopra dei 600 m, le estati fresche e l'abbondanza d'acqua, combinate con le tradizionali tecniche di coltivazione, consentono di ottenere un prodotto inconfondibile. I produttori del consorzio FAGIOLI DI SARCONI Igp, hanno saputo recuperare e conservare ecotipi locali di indiscutibile valore agronomico, dalle qualità organolettiche eccellenti e produrli secondo regole, spesso non scritte, ma conosciute e tramandate di generazione in generazione. Tali regole, riportate nel disciplinare di produzione IGP, notificano che si tratta di una produzione ottenuta secondo gli usi e costumi popolari del mondo contadino, nel rispetto di tradizioni, caratterizzata da metodi agronomici tradizionali che prevedono la rotazione, la consociazione e le concimazioni spesso fatte con concimi organici, in assenza di diserbanti e pesticidi. Gli ecotipi di fagioli, localmente conosciuti con i nomi di ciuoto o fagiolo regina, munachedda, marucchedda, tuvagliedde, tabacchini, verdolini, nasiedd, risi – rappresentano per l’Alta Val d’Agri la storia, la cultura e le tradizioni di un popolo orgogliosamente legato alle proprie origini.

TERENZIO BOVE

I FAGIOLI La ricetta naturale contro il colesterolo

I fagioli, come recita il titolo di un libro di qualche anno fa, rappresentano “la carne dei poveri” ovvero una idonea alternativa alla carne dal punto di vista dell'apporto proteico. Essi, inoltre, essendo una notevole sorgente di energia glucidica ed una modestissima sorgente di energia lipidica possono essere valutati come alimenti che equilibrano la dieta dal punto di vista della giusta proporzione tra lipidi, proteine e glucidi. Ma il dato più interessante che è emerso da uno studio realizzato dal Servizio di Ricerca Agricola del Nord Dakota (Stati Uniti): i fagioli se vengono consumati quotidianamente (50 grammi di fagioli secchi) abbassano il tasso di colesterolo nel sangue. Lo studio ha coinvolto 80 volontari dai 18 ai 55 anni, di cui metà sani e metà predisposti a disturbi metabolici che li rendevano a rischio per le malattie cardiovascolari. Dopo 12 settimane la metà dei volontari sottoposti al protocollo riscontrava una riduzione del livello di colesterolo nel sangue, paragonati al gruppo di controllo (gruppo a cui si somministravano medicinali). A questo dato interessante si vanno ad aggiungere già altre proprietà riconosciute ai fagioli. Infatti sono indicati per i diabetici perché regolano la glicemia e diminuiscono l'incidenza dei tumori. Sono ricchi di fibre e sono quindi indicati per la funzionalità del colon, per ridurre problemi di stitichezza, emorroidi e altri problemi intestinali. Possiede, inoltre, proprietà depurative, emollienti e diuretiche ed è indicato come coadiuvante nella cura delle malattie reumatiche.

Terenzio Bove

Presidente del Consorzio per

la tutela dei fagioli di Sarconi

fagioli.sarconi@tiscali.it

Il colesterolo

Il colesterolo è una molecola lipidica sterolica, tipica degli organismi animali, soprattutto dei Vertebrati. È presente in tutti i tessuti e in maggior quantità nel cervello, nella bile e nel sangue. A causa della sua struttura ha caratteristiche idrofobiche ed è quindi scarsamente idrosolubile. L'intestino lo assorbe grazie ai sali biliari.

È presente sia in forma libera (35-40% del totale) sia esterificato con acidi grassi a catena lunga. La sintesi del colesterolo si svolge soprattutto a livello epatico, anche se vi partecipano numerosi altri organi (surrene, testicolo, aorta ecc.). Il colesterolo viene invece eliminato con la bile, trasformato in acidi biliari e poi in sali biliari (dai calcoli biliari il colesterolo può essere ottenuto allo stato puro cristallino).

Sul colesterolo esiste molta disinformazione. Se a livelli di competenza elevati si è sufficientemente obbiettivi, a bassi livelli si rivendono spesso informazioni vecchie o mal comprese. Questo articolo vuol dunque fare chiarezza sull'argomento.


1) Il colesterolo è utile e fondamentale per il nostro organismo:

  • Interviene nella formazione e nella riparazione delle membrane cellulari
  • È il precursore della vitamina D, degli ormoni steroidei e degli ormoni sessuali (come androgeni, testosterone, estrogeni e progesterone)
  • È contenuto nell'emoglobina
  • È il precursore dei sali biliari.

2) I tipi

Il colesterolo non è libero nel sangue, ma è legato a particolari proteine formando strutture complesse dette lipoproteine; il colesterolo totale si divide perciò in colesterolo VLDL (a bassissima densità), LDL (a bassa densità) e HDL (ad alta densità). Le lipoproteine a bassa densità (LDL) veicolano tra il 60% e l'80% del colesterolo serico. Presentando molta affinità con le cellule dell'endotelio delle arterie, liberano il colesterolo sulla parete dei vasi (costituisce la placca ateromatosa nell'aterosclerosi, anche se non è ancora chiaro se rappresenti il fattore eziologico della malattia); viceversa le lipoproteine ad alta densità (HDL )svolgono la funzione opposta, rimuovendo il colesterolo dalle arterie e riportandolo al fegato. Incerto è invece il significato del colesterolo presente nelle lipoproteine VLDL.

Nei laboratori il colesterolo LDL è ricavato da altri valori con la formula di Friedewald: LDL = colesterolo totale – (HDL + 1/5 trigliceridi). Quando il valore dei trigliceridi supera 400 mg/dl (un valore decisamente preoccupante…), la formula di Friedewald non è attendibile ed è necessario eseguire la determinazione del colesterolo LDL con metodiche di ultracentrifugazione.

3) Perché non deve salire troppo - Riassumiamo quanto detto:

  • 1) Le LDL distribuiscono il colesterolo alle cellule. E questa funzione è positiva.
  • 2) Purtroppo durante questa funzione, parte del colesterolo LDL si deposita sulle pareti interne delle arterie formando le placche.
  • 3) Le lipoproteine HDL rimuovono l'eccesso di colesterolo dalla parete delle arterie e lo riportano al fegato.

Da questi tre punti è evidente che colesterolo LDL e HDL sono indipendenti; l'HDL non "distrugge" l'LDL, ma le lipoproteine HDL riportano il colesterolo al fegato. Avere il colesterolo HDL alto consente di diminuire l'effetto negativo dell'LDL nella formazione delle placche. Per capire meglio, due analogie:

L'analogia del cibo - Il cibo è fondamentale per la sopravvivenza, ma se ne mangiamo troppo ingrassiamo. Il colesterolo è fondamentale per alcune funzioni dell'organismo, ma se è in quantità non corretta diventa un fattore negativo.

L'analogia delle foglie - Consideriamo un viale alberato d'autunno su una strada asfaltata. Cadono tante foglie (LDL) e la strada ne è coperta. Se abbiamo tanti spazzini (HDL) la strada resta pulita. Gli spazzini non agiscono sulla caduta delle foglie, ma le rimuovono. Ecco perché conta il rapporto (Colesterolo totale/HDL).

4) Il fattore di rischio - In base all'ultima analogia è abbastanza semplice capire che un valore di colesterolo totale nel sangue (colesterolemia) superiore alla norma non è di per sé preoccupante, soprattutto se non esistono altri fattori di rischio cardiovascolare (le lipoproteine LDL provocano comunque una proliferazione cellulare che può restringere il lume delle arterie), occorrendo distinguere fra colesterolo cattivo (legato alle lipoproteine LDL) e colesterolo buono (legato alle HDL). La vecchia interpretazione considerava valori ottimali quelli inferiori a 240 mg/dl di colesterolo totale (a 200 mg/dl o addirittura a 160 mg/dl se sono presenti fattori di rischio cardiovascolare o è già in atto una coronaropatia) e inferiori a 160 mg/dl di colesterolo LDL (rispettivamente 130 mg/dl e 100 mg/dl nel caso di fattori di rischio o di coronaropatia). La vecchia interpretazione considerava solo il colesterolo totale anche perché nella popolazione sedentaria (e spesso con cattiva alimentazione) il colesterolo buono è molto basso. Con il diffondersi di concetti salutistici (attività fisica e alimentazione sana) ciò non è più vero e l'incremento del colesterolo buono spesso porta il totale oltre i vecchi valori di attenzione. Oggi, per una valutazione migliore della situazione, si considera l'indice di rischio cardiovascolare, cioè il rapporto fra colesterolo totale e colesterolo buono HDL; tale indice per un soggetto sano deve essere inferiore a 5 per l'uomo e a 4,5 per la donna. Un soggetto con colesterolo totale a 250 e colesterolo buono a 85 ha un indice di rischio a 2,94 ed è in una condizione decisamente migliore di chi ha il colesterolo totale a 200 e quello buono a 40, dove l'indice di rischio vale 5. L'importante è capire che il valore del colesterolo totale ha scarsa rilevanza e che ciò che conta è l'indice di rischio.

5) Il colesterolo assunto con l'alimentazione non supera il 20% - Un errore comune è credere che tutto il colesterolo provenga dai cibi. In realtà al massimo solo il 20% del colesterolo proviene dall'alimentazione, mentre l'80% è di origine endogena (cioè creato dall'organismo. La produzione è circa di 1-2 g al giorno mentre l'organismo ne assume con la dieta 200-500 mg, per l'uomo occidentale medio circa 340 mg, 220 mg per la donna). Una parte del colesterolo in eccesso viene eliminata dal fegato, cosicché la percentuale esogena (cioè proveniente dall'esterno, dall'alimentazione) massima del 20% sul totale è più che ragionevole. Solo se si mangia "malissimo" si arriva al 20%. Realisticamente è del 10%.

8) I cibi contenenti colesterolo - Ecco un semplice elenco di cibi contenenti colesterolo (le quantità sono in mg per 100 g di alimento edibile):

  • Organi di animali (cervello)
  • Tuorlo d' uovo (1350) N.B. un uovo intero contiene 400 mg di colesterolo per 100 g)
  • Burro (250)
  • Frutti di mare (aragosta, gamberi, ostriche, cozze 150)
  • Salumi grassi (100)
  • Formaggi grassi (pecorino, grana, parmigiano ecc. 100)
  • Carne e pesce magri (petto di pollo, tonno, pesce spada ecc. 70)

Da questo elenco si vede chiaramente che per esempio 100 g di burro apportano circa 750 kcal, una quantità improponibile in una dieta ipocalorica. È dunque confermata una delle "scoperte" della dieta italiana: la raccomandazione salutista di non assumere tutta una serie di cibi per limitare il colesterolo alimentare è del tutto inutile se il soggetto rispetta il vincolo di una dieta ipocalorica.

Il controllo della produzione endogena avviene secondo un meccanismo che riduce la quantità di colesterolo endogeno se aumenta quello assunto con la dieta e viceversa, per cui è troppo semplicistico sperare di controllare il colesterolo, eliminando dalla propria alimentazione i cibi ricchi di colesterolo (eliminazione che farebbe aumentare quello endogeno).

In particolare con un'alimentazione ipercalorica non ha senso l'uso di integratori alimentari (i fitosteroli sono i più interessanti) che riducono l'assorbimento del colesterolo né ha pregio il consiglio di ingozzarsi di fibre e di cibi ricchi di colesterolo sperando che le fibre ne ostacolino l'assorbimento. In chi ha un cattivo stile di vita gli integratori anti-colesterolo (spesso peraltro sottodimensionati o inefficaci) sono un controsenso perché tutte le ricerche hanno mostrato che riducono percentualmente l'assorbimento del colesterolo. L'azione dei fitosteroli è significativa se:

  • si hanno alti apporti di colesterolo alimentare derivanti da iperalimentazione. Come dire che gli integratori a base di fitosteroli sono giustificati solo se si mangia male. Ma che senso ha abbassare il colesterolo del 10% dal 300 a 270 mg/dl (270 resta comunque un valore elevato e non si risolve il problema) quando con una dieta appropriata ed esercizio fisico lo si abbassa a 220 (innalzando fra l'altro la frazione HDL)?
  • nonostante uno stile di vita corretto e un'attività fisica costante, l'indice di rischio resta alto. Anziché assumere statine, si può provare un'ulteriore leggera riduzione dell'LDL con i fitosteroli con dosaggio appropriato (circa 2 g al giorno).

9) Come si controlla il colesterolo endogeno? - Agendo sul meccanismo di produzione. Esistono diverse strade che passano tutte attraverso l'alimentazione. Attenzione però: non si devono confondere queste soluzioni con quella di curare l'alimentazione per diminuire il colesterolo assunto dai cibi. L'alimentazione può controllare anche la produzione di colesterolo endogeno! Ricordando prima che:

a) i precursori del colesterolo sono i glicidi

b) la sintesi del colesterolo nel fegato è controllata dall'enzima HMG-CoA-reduttasi che a sua volta viene attivato dall'insulina,

vediamo alcune soluzioni

1) si usano sostanze naturali in grado di inibire l'HMG-CoA-reduttasi (come il tè verde). Questa soluzione è fra le più ottimistiche, perché nessuna sostanza naturale è così potente da essere un farmaco ipocolesterolemizzante. Infatti bisogna ricordare che l'inibizione dell'HMG-CoA-reduttasi ha effetti collaterali (rabdomiolisi, un patologia che provoca lesioni muscolari - ricordiamo che il cuore è un muscolo!) e che se esistesse una sostanza naturale che controllasse potentemente l'HMG-CoA-reduttasi avrebbe lo stesso grado di pericolosità dei più comuni farmaci anticolesterolo Un'alternativa è l'eliminazione di sostanze (caffè) che aumentano i livelli di colesterolo.

2) Il ruolo degli acidi grassi saturi è stato spesso esagerato. Se è vero che aumentano i livelli LDL di circa 2,5 mg/dl per ogni 1% di calorie totali nella dieta è pure vero che una loro diminuzione nella dieta diminuisce i livelli di colesterolo HDL (per il rischio di infarto un aumento di colesterolo HDL di un mg è equivalente -cioè compensa- a un aumento di circa 4,4 mg di LDL): alla fine il rischio cardiovascolare è immutato. Considerate l'esempio di molti vegani che hanno colesterolo totale a 190 e colesterolo HDL a 40 con rischio cardiovascolare al limite! In altri termini i grassi saturi alzano sia il colesterolo buono sia quello cattivo. Diversa è la situazione dei grassi trans che alzano il colesterolo cattivo e basta!

Con un regime normocalorico in cui si evita il sovrappeso e si varino le fonti di grassi (per esempio con una ripartizione equivalente fra polinsaturi, monoinsaturi e saturi) si controlla il rapporto di rischio mantenendolo abbondantemente sotto a 5. Come si vede la demonizzazione dei grassi saturi è del tutto arbitraria in presenza di dieta equilibrata. Le regole della dieta italiana:

  • di un'alimentazione ipocalorica (che esclude "matematicamente" gli alimenti grassi, almeno in quantità)
  • di una limitazione dei cibi contenenti la dizione generica grasso o olio vegetale
  • di un'eliminazione dei cibi contenenti grassi idrogenati e delle margarine

risolvono praticamente il problema, cioè portano l'indice rischio (lo ripetiamo: il colesterolo totale è un dato poco significativo) sotto i valori di attenzione.

3) Riducendo la quota di carboidrati (che sono i precursori del colesterolo) si migliora la situazione. La ripartizione della dieta italiana 50-20-30 tende a limitare i carboidrati, limitando la risposta insulinica. Realisticamente una riduzione al 50% dei carboidrati diminuisce la produzione endogena di un 10% rispetto alle classiche diete dove la quota dei carboidrati arriva al 70%.

Riassumendo:

è inutile che vi preoccupiate del vostro colesterolo se continuate a essere in sovrappeso!

10) Come aumentare il colesterolo buono - L'attività fisica aerobica aumenta la frazione di colesterolo buono (ATTENZIONE: NON RIDUCE QUELLO CATTIVO E QUINDI NEMMENO QUELLO TOTALE CHE ANZI AUMENTA PERCHÉ AUMENTA QUELLO BUONO, ma si riduce il fattore di rischio cardiovascolare). Perché l'attività fisica produca gli effetti desiderati occorre che sia aerobica (corsa, ciclismo, sci di fondo ecc.) e sia a media intensità (l'allenamento a bassa intensità è praticamente inutile). Per dare un'idea il colesterolo HDL non si muove significativamente per attività dell'ordine delle due ore settimanali. Per ogni ora in più si può stimare un aumento medio del colesterolo HDL di 10 mg/dl.

Da rilevare che il fumo abbassa i livelli di colesterolo HDL.

11) I farmaci - Dovrebbero essere utilizzati solo nel caso di fallimento dei punti precedenti:

  • dieta ipocalorica
  • ripartizione dei macronutrienti 50-20-30
  • limitazione dei "grassi e oli vegetali"
  • eliminazione dei grassi idrogenati (anche parzialmente) e delle margarine
  • attività fisica aerobica a media intensità
  • uso di fitosteroli con dosaggio corretto (2 g al giorno)

L'inibizione della sintesi avviene farmacologicamente grazie a farmaci come le statine, i prodotti attualmente più usati. Le resine aumentano la conversione del colesterolo in acidi biliari nel fegato, legando poi gli acidi nell'intestino. I fibrati aumentano l'ossidazione degli acidi grassi nel fegato, diminuendo i trigliceridi. Infine gli acidi nicotinici consentono di abbassare l'indice di rischio, alzando la frazione buona e abbassando quella cattiva.